TALENT SHORTAGE: THE NEXT BIG CRISIS. LA RISPOSTA IT.

COS’È IL TALENT SHORTAGE? NIENT’ALTRO CHE LA PROSSIMA GRANDE CRISI CHE LE AZIENDE DI TUTTO IL MONDO DOVRANNO AFFRONTARE.


Per Talent Shortage si intende oggi la carenza di talenti in ambito professionale. Sempre più spesso i datori di lavoro faticano a trovare le figure professionali necessarie per il proprio business e questo crea un vero e proprio gap tra domanda e offerta. Quindi non è la mancanza di lavoratori (causata dalla sovraoccupazione), e non è neppure il caso di lavoratori con le giuste competenze ma non disponibili a svolgere quella determinata mansione (overskilling): si tratta né più né meno che della mancanza di lavoratori con le giuste competenze perché semplicemente non le possiedono.

Analizziamo meglio questo problema. Quali sono le ragioni alla base del talent shortage?

Una ragione è nota ed è tecnologica: IT, robotica, automazione, machine learning e data science stanno saturando ogni settore; di conseguenza il business delle aziende evolve di continuo e con lui le competenze, sempre nuove, che servono per stare al passo. Le università e le scuole professionali non fanno in tempo a fornirle che già diventano obsolete. Addirittura, le professioni del 2030 in alcuni àmbiti come quello della cybersecurity non sono neppure immaginabili, men che meno le competenze per svolgerle. Per riassumere: la digitalizzazione pervasiva causa un cambiamento sempre più veloce del mondo del lavoro che è sempre più digitale e in costante evoluzione.

Le ragioni del talent shortage? Il tasso di sviluppo della tecnologia certamente ma anche i nuovi valori, la pandemia e la sostenibilità.

Questo cambiamento continuo trasforma anche le competenze che necessarie per essere produttivi. Pensiamo a come si lavorava anche solo trent’anni fa: l’informatica era relativamente assente, solo i dirigenti utilizzavano un computer. Non era neppure immaginabile che tutte le competenze informatiche che oggi diamo quasi per scontate sarebbero state diffuse tra l’intero personale aziendale. Trasportiamo il ragionamento avanti di cinque o dieci anni e capiremo che nel futuro la tecnologia avrà di nuovo trasformato nel profondo il mondo del lavoro e serviranno delle competenze nuove, che oggi nessuno possiede. In particolare la robotica, l’intelligenza artificiale, l’automazione - ambiti relativamente nuovi almeno in quanto ad adozione - stanno trasformando nel profondo ogni settore della nostra economia.

Ma il tasso di crescita della tecnologia non è l’unica ragione. Le nuove generazioni hanno una mentalità del lavoro profondamente diversa dalle precedenti, adottano nuovi approcci e mettono l’equilibrio con la vita personale al primo posto. Anche la pandemia ci ha messo fortemente del suo, diffondendo nuovi modi di lavorare che sono diventati la norma nel giro di pochissimo tempo: accesso remoto e sempre attivo, orari flessibili, confini organizzativi labili. Ancora: l’attenzione alla sostenibilità, fondamentale per il nostro futuro, ha creato una nuova area aziendale in rapidissima evoluzione, con tutte le competenze che si porta dietro.

 

In questo scenario in rapido e continuo movimento emergono come cruciali competenze comportamentali e attitudinali come creatività, intelligenza emotiva, empatia, agilità, pensiero critico, resilienza. Non più soft skill ma behavioural skill, perché definirle soft sarebbe sminuirle. Queste competenze comportamentali sono centrali perché permettono alle persone che le possiedono di gestire il cambiamento positivamente, di contenere lo stress, di affrontare le nuove sfide con più facilità.

E quindi, per sintetizzare, cosa succede? Che alle aziende di tutti i settori, per prosperare, serve improvvisamente uno skill set totalmente nuovo, sempre di più un mix tra competenze digitali, tecniche e comportamentali. Le prime due in perenne evoluzione, le terze quasi impossibili da insegnare. E allora? Se il cv non basta più, dove si guarda, per cercare il talento? Si guarda oltre, si guarda al potenziale. E per fortuna il tempo per organizzarsi c’è.

Reagire al talent shortage: ci si fa aiutare dalla strategia, ma anche dalla tecnologia che è in parte causa del problema ma e ne è anche la soluzione, e in particolare dall’AI.

Affrontare il talent shortage è relativamente semplice: si gestisce il problema con due elementi fondamentali, la strategia e la tecnologia.


La strategia, come sempre alla base, si esplica incorporando nelle linee guida aziendali alcuni elementi centrali in qualsiasi disegno di sostenibilità, ad esempio promuovendo una cultura di diversità, favorendo l’ingresso di personale con diversi background e di formazione variegata, così da favorire la nascita di nuove idee e la crescita di una coscienza collettiva ricca e multiforme. Strategia è anche impostare sistemi di apprendimento perpetuo così da disporre di un insieme di professionisti preparati anche sulle nuove competenze. In quanto alle modalità di apprendimento, favorire le più diverse, dall’apprendimento frontale al training on the job, all’edutainment, è sicuramente un beneficio. Anche l’attenzione a creare un ambiente di lavoro sereno e favorevole fa parte della strategia.


In quanto al passo successivo, ecco che entra in gioco la tecnologia che è - come abbiamo visto - in parte causa del problema ma e ne è anche la soluzione, e nello specifico l’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale può automatizzare il processo di selezione dei candidati e minimizzarne gli errori, può garantire il massimo fit culturale con i neoassunti e personalizzare i percorsi di carriera. Ad esempio l’intelligenza artificiale può capire in anticipo le attitudini di una persona e se quella persona è adatta a lavorare in un certo ambiente, può automatizzare la scrematura dei curriculum per una certa posizione, generando una rosa di candidati che verranno poi valutati da chi si occupa di selezione.


Ma tecnologia non è certo solo intelligenza artificiale, anzi. L’AI non ne è che l’ultimo tassello. Tecnologia significa innanzitutto adottare un’architettura IT aperta, costruire un sistema informatico che si adatta alle esigenze delle persone e fa sì che anche i non esperti in informatica possano lavorare senza problemi, significa sfruttare modelli di cloud ibridi per la flessibilità del lavoro, creare applicazioni per l’engagement e per l’apprendimento virale in azienda, a vari livelli.

 

Come stanno reagendo le aziende al talent shortage oggi? Prendiamo il settore della moda: moltissime realtà, soprattutto multinazionali, non sono in grado di riempire tutte le posizioni aperte. Più d’una ha annunciato che recluterà a stretto giro migliaia (sì, migliaia) di persone sotto i 30 anni, spesso con progetti trasversali che vanno da HR e responsabilità sociale. L’obiettivo è quello di creare organizzazioni aperte a tutti i giovani del mondo, indipendentemente da background o istruzione. I giganti dell’automotive hanno dichiarato che investiranno centinaia di milioni di euro per lanciare vere e proprie accademie formative e creare programmi appositi di upskilling dei lavoratori attuali. Le industrie farmaceutiche si concentreranno invece sul talent assessment e i talent analytics per minimizzare gli errori in fase di assunzione e soprattutto per garantire il massimo fit culturale con i propri neoassunti.

I leader dell’IT vanno ancora oltre. Google, Tesla, SpaceX stanno abolendo totalmente l'approccio tradizionale al recruiting per scoprire i migliori talenti utili al proprio sviluppo: nessuna laurea blasonata necessaria, nessun curriculum brillante, nessuna esperienza richiesti. Questi player scremano i candidati attraverso test pratici o facendoli direttamente lavorare, così da identificare anche con precisione i processi di pensiero, le soft skill e le motivazioni di ciascuno. Ecco così che reclutano non i migliori project manager o ingegneri del mondo, ma quelli che hanno esattamente le attitudini che cercano per migliorare i propri team. Ed eliminando tutte le restrizioni, possono attingere a un bacino di talenti virtualmente infinito. È un processo straordinariamente semplice che, come qualsiasi processo o prodotto ben progettato, è efficace e alla portata di qualsiasi azienda: non bisogna essere Google, Tesla o SpaceX.

 

In sintesi, questa enorme e inevitabile crisi porta inaspettati benefici e un nuovo modello di recruiting che si tradurrà senza alcun dubbio in nuovi modelli di business. Le aziende di tutto il mondo sono obbligate a stravolgere il processo di ingaggio delle proprie persone, quelle che le accompagneranno nel futuro, per via di una crisi economico-ambientale e da un ritmo di crescita tecnologica senza precedenti; e il risultato qual è? Un mondo in cui conta il potenziale, un mondo pieno di possibilità per tutti e dove per tutti c’è un posto.

Nel nostro piccolo, anche noi del Gruppo E lavoriamo in questo senso: scegliamo persone motivate e capaci indipendentemente da origini e inclinazioni; tratteniamo chi è disposto ad acquisire nuove competenze e a lavorare su empatia e comunicazione, mettiamo in discussione il nostro modello di business, e abbracciamo un paradigma sostenibile. Questa è la nostra filosofia e – crediamo – la nostra arma vincente.

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